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La spiritualità dev’essere anche mancanza di controllo

Il cammino che abbiamo portato avanti finora ci ha permesso di guadagnare molte chiarezze, ma la spiritualità non può limitarsi alla mentalità disciplinare che abbiamo adottato finora, una mentalità di studio, controllo e ricerca accademica, pur con gli scarsi mezzi di cui ci siamo serviti. Se spiritualità deve significare esperienza interiore, è bene tener presente che l’esperienza interiore è anche affettività, cuore, sentimento, emozioni, senso dell’umorismo, sesso, mancanza di controllo. La storia antica ci testimonia che in passato la religione s’intrecciò anche con pratiche di prostituzione sacra, danze, ubriacature, uso di droghe. Se per un verso la mancanza di controllo, di programmazione, è un aspetto vitale dell’esistenza umana, è chiaro che in contesti del genere trova però terreno fertile il torbido, l’inganno, l’impostura e con essi la perdita di serietà, di senso critico, e quindi di valore, della spiritualità stessa. Ci veniamo quindi a trovare nel problema di scegliere tra dare ospitalità all’incontrollato, oppure tentare ipocritamente di reprimerlo, oppure ancora scegliere una via di mezzo di moderazione, di mezze misure, un non essere né caldi né freddi che però può rivelarsi perfino peggiore degli eccessi.

In generale, la spiritualità non ha regole e non ne vieta alcuna, così che ognuno può scegliere se e quali regole stabilire per sé stesso, se, come e quando continuare a rispettarle o smettere di farlo. Ne viene fuori che la spiritualità dev’essere necessariamente un fatto pluralistico, poiché l’essere con e senza regole, con e senza controllo, peraltro in modalità variegate, sono modalità di vita che non possono essere riscontrate simultaneamente in un’unica persona. In altre parole, la spiritualità non può avere personaggi di riferimento, come per esempio sono Gesù per il Cristianesimo, Buddha per il Buddhismo, Maometto per l’Islam ecc. Nel contesto del Cristianesimo, per esempio, Gesù è riuscito a mantenersi come personaggio di riferimento al prezzo di essere un tipo contraddittorio su molti punti; nonostante ciò, tuttavia, emergono facilmente questioni che neanche la contraddittorietà di Gesù può risolvere: egli può essere ritratto nei vangeli come dolce e severo, mangione e asceta, ma è difficile ritrarlo come maschio e femmina allo stesso tempo e così emergono irrimediabilmente i problemi del maschilismo nella Chiesa.

Ciò che è pluralista può essere tacciato di confusione: è questa, per esempio, un’accusa che i Cattolici rivolgono ai Protestanti, frammentati in innumerevoli ramificazioni. È l’eterno problema che torna anche in politica, tra democrazie, dittature e vie di mezzo. Sarebbe un errore tentare di trovare soluzioni definitive a questo problema, poiché pluralismo non significa altro che divenire e non possiamo pretendere di padroneggiare il divenire del mondo; possiamo solo tentare di viverci – dico viverci, non starci – nei modi che volta per volta riteniamo migliori.

Dunque, se il discorso freddo e accademico portato avanti finora, oltre al pregio di consentire un recupero della spiritualità al mondo delle cose serie, valide e consistenti, ha senz’altro i suoi limiti, la soluzione che rimane è quella di continuare a camminare, coltivare l’autocritica: in fondo è questo che stiamo facendo ponendoci le questioni presentate. A proteggere la spiritualità dall’anarchia, dagli impostori, da finte spiritualità che sono soltanto inganno, dovrà essere la spiritualità stessa, similmente a quanto avviene nelle arti, in cui, per esempio, uno scarabocchio potrebbe passare per capolavoro, ma di fatto ciò non avviene per un continuo lavoro di critica. Gesù non ha protetto la Chiesa da inganni e ipocrisie, ma questo avviene nella misura in cui essa non è cammino e non fa pratica di critica e autocritica.

Riassunto del video

Molti non si organizzano un progetto di vita perché temono di privarsi in questo modo delle esperienze della spontaneità, del lasciarsi andare; in realtà il criterio del camminare può rivelare proprio una sua capacità unica nel favorire, permettere e proteggere la spontaneità; essa non è salvezza, ma, più semplicemente, una nostra risorsa che merita di essere gestita.