Dipinto di Patrick Ezechiele

Indice delle lezioni

 

Questo quadro mi ha un po’ incuriosito. Ha un aspetto particolare: pone in estrema evidenza il punto di vista dell’osservatore. L’acqua del fiume è pressoché al livello dell’occhio dell’osservatore. In questo senso trovo molto importante quel ciuffo d’erba in basso a sinistra: è l’erba che entra nel campo visivo dell’osservatore che si trova lì, seduto sull’erba. Cioè, quell’erba mi dice “Tu sei lì, tu sei seduto lì, sei parte del paesaggio, perché ci sei dentro”. Sarà anche perché ho passato lunghe ore di meditazione in ambienti simili e ciò che vedevo era molto simile a questo: il ciuffo d’erba che entra nella prospettiva da sotto gli occhi, inavvertitamente, gli elementi placidi, l’acqua quasi a livello degli occhi. Direi che il vero oggetto di questo quadro non è il paesaggio, è l’osservatore. Questo quadro è quasi uno specchio per chi lo guarda. Altri dipinti di paesaggi hanno il paesaggio per oggetto, sono come cartoline; qui il paesaggio rinvia del tutto al soggetto, a me che sto guardando.

Un altro aspetto che noto è che in questo quadro nessun elemento fa chiasso, cioè s’impone all’attenzione. Il sole in alto si affaccia timido, quasi a voler dire che non vuole disturbare. Gli alberelli esprimono modestia, non intendono catturare l’attenzione con rami appariscenti o forme particolari. Questo si chiama equilibrio ed è una delle qualità che è più difficile raggiungere in qualsiasi tipo di opera d’arte. Trovo accentuati invece i riflessi, rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un quadro ispirato alla realtà; ma qui vedo proprio un gioco di parole, come se l’artista mi dicesse: riflettere è importante; il riflesso mi rinvia al mio inconscio, a ciò che sta sotto e dentro l’acqua.

Vedo anche una vaga presenza dello scuro, del male, però molto camuffato: le montagne sulla destra da un punto di vista razionale sono montagne, perché stanno al suolo, ma per il modo come sono impastate sembrano nuvoloni ingrossati di un maltempo arrabbiato; però la ragione non se ne accorge, perché, appunto, vede che stanno in basso e quindi considera che sono montagne. Non a caso sono contrapposte al sole timido, come il male si contrappone al bene.

Due colori principali si fanno notare: il verde della vegetazione e l’arancione, che può essere di alba oppure tramonto. Il verde è abbastanza sbilanciato verso un caldo scuro che si collega all’arancione del tramonto; anche l’arancione non è molto brillante: abbiamo colori che non intendono essere invasivi, non vogliono richiamare l’attenzione, ma hanno tutta l’intenzione di contribuire al silenzio.

Le nuvole in alto, nonostante siano di fatto leggere, per il loro colore, per la forma, per l’impressione che danno di correre verso giù, verso la testa dello spettatore, sanno di minaccia, sembrano fantasmi usciti da un mondo sconosciuto a portare cattive notizie.

Il complesso, tuttavia, appare rasserenante, specialmente per quell’allusione in fondo in fondo, lì lontano, chissà cosa c’è oltre quella curva del fiume, certamente speranze, possibilità di altri silenzi sconosciuti.

Salve a tutti.

Questo post è dedicato a un quadro che porta come titolo “Re dei colori”. Commentando questo quadro ho evidenziato che esso, nonostante raffiguri un paesaggio, tuttavia, per come è organizzato, almeno per quello che io ho potuto evidenziare, sembra piuttosto richiamare l’attenzione al soggetto, cioè a colui che sta guardando il quadro. Cioè, è come se il pittore dicesse “Io ti disegno un paesaggio, ma voglio evidenziare che ci sei tu che stai guardando quel paesaggio, sto disegnando il tuo modo di guardare quel paesaggio, oppure il tuo modo di guardare quel quadro”. In altre parole, mi sembra che quel quadro sia un rinvio al soggetto. Il soggetto è colui che compie l’azione, colui che interpreta. Ora, in generale, in tutto il cammino, c’è un particolare orientamento verso il soggetto, e possiamo riscontrare questo orientamento addirittura in tutta la filosofia, per lo meno a grandi linee. Cioè dire, i primi passi della filosofia in Grecia si orientavano nel tentativo di capire il mondo. Col passare dei secoli, l’attenzione si è concentrata sempre di più su noi che guardiamo il mondo, noi che riflettiamo, noi che facciamo filosofia.

Ora, questo particolare richiamo al soggetto, cioè come un rimbalzare la palla a colui che l’ha lanciata, si può riscontrare in maniera particolare nel messaggio di Gesù. Cioè dire, lui che cosa dice in moltissime parti del Vangelo, oppure si potrebbe dire anche “in sostanza”? Dice “Guardati tu”. Per esempio, c’è la legge che dice “Si deve fare così”, ma la legge non ti salva. Guardati tu, che stai interpretando la legge. C’è il sacro, c’è il sacrificio, e tu stai facendo il sacrificio, guardati tu, come sei tu, che stai facendo questo sacrificio. Questa è l’attenzione verso il soggetto, cioè dire, come se ci fosse un camminare nel mondo intero, nella storia, nell’universo, che pian piano scopre sempre di più l’importanza di rivolgere l’attenzione a colui che pensa, a noi stessi, a colui che sta guardando le cose, piuttosto che al mondo, come è fatto, come funziona, come stanno le cose. Ora, in questo senso, si potrebbe riscontrare, invece, una situazione di tendenza opposta nella natura, perché, se osserviamo la natura, specialmente da un punto di vista scientifico, possiamo osservare che essa si basa sulla forza, la legge del più forte, la legge della sopravvivenza, e quindi la natura sembra mirare di più all’oggettività, perché è l’oggettività quello che ti dà forza, è l’analisi della situazione che ti permette di predare, acchiappare la vittima e nutrirtene. Ora, in questo senso, uno potrebbe dire, sia di fronte a tutta la questione, sia di fronte a Gesù che richiamava verso il soggetto, potrebbe dire “Sì, ok, va bene, ho capito, e adesso che fare, e adesso cosa devo fare?”. Ora, potremmo osservare che proprio questa domanda “Che fare?” può essere smascherata come una domanda che di nuovo rinvia all’oggettività e quindi allontana da sé stessi, perché il che fare significa individuare qualcosa di oggettivo da fare, qualcosa di materiale, qualcosa che mi metto davanti, lo faccio e dico “L’ho fatto”. E quindi addirittura non ci possiamo neanche chiedere “Che fare?”. Nascerebbe la domanda “Ma allora che fare?”, appunto, se non ci possiamo neanche chiedere che fare?

Possiamo aggiungere un’altra osservazione. Già io stesso, che sto facendo questo discorso sulla soggettività, già la sto oggettivando, la sto rendendo un argomento di cui parlare e quindi la sto in certo senso tradendo. Chi rispetta un po’ di più la soggettività si può considerare l’artista, il quale non parla della soggettività, ma la presenta così com’è, attraverso un linguaggio molto più soggettivo e molto meno oggettivo, perché l’artista mi dice come lui vede le cose e mi invita a considerare come io vedo le cose. Ora, in questo senso, tuttavia, però, non c’è una formula, non c’è una soluzione stabile, non possiamo dire “Fai così” e il soggetto sarà recuperato, appunto perché quel fare sarebbe in realtà una oggettivizzazione. E allora quale può essere la via? Possiamo tener presente che, in ogni caso, l’oggettivare, la mentalità della filosofia greca, non può più essere eliminato, perché ce lo portiamo con noi. E allora si tratta, piuttosto che orientarsi completamente verso il soggetto, individuare le vie migliori per fare sintesi, per mettere in dialogo, per mettere in relazione soggettività e oggettività. La via migliore credo che sia in questo senso una via dinamica, cioè un camminare per trovare in continuazione le vie migliori, i modi migliori di relazionare soggettività e oggettività.

In questo senso uno potrebbe dire “Ma che cosa abbiamo scoperto, dove siamo arrivati?”. Siamo arrivati nell’aver individuato sempre meglio il lavoro da fare. Il lavoro da fare viene a risultare questo: coltivare in noi i migliori contesti, i migliori cammini, per seguire le migliori vie, per far fruttare al meglio, relazionare al meglio, soggettività e oggettività, scambio di soggetti: io ti do il mio soggetto, così com’è, tu mi dai il tuo soggetto, e scambio di oggettività, perché nel mezzo mettiamo anche i ragionamenti. Su questo sembra che la spiritualità, con il suo modo di essere, abbia molto da dire, perché, se, per esempio, c’è questo modo di riflettere, tentare di accostarsi al soggetto, come io sto facendo anche ragionando, c’è tuttavia un contesto di riflessione che si può creare. Cioè, non tutti i modi di riflettere sono uguali. C’è il riflettere fatto nel contemplare, nel silenzio, nel raccoglimento, ciò che è più che altro meditazione, mentre c’è piuttosto il riflettere che invece, è con i paraocchi, unilaterale, che vuole dominare, eccetera. Quindi la spiritualità, essendo critica ed essendo autocritica, lascia intendere che può aiutare a creare questi contesti di aiuto al miglior dialogo tra soggettività e oggettività. Come ho lasciato intendere in altri video, poi è la via dell’arte, un’altra grande maestra per educarci a non perdere di vista l’attenzione alla soggettività, senza trascinarci da inganni che in realtà oggettivano, come la domanda “Che fare?” oppure tante altre indagini, che pure sono filosofiche, ma rimangono oggettivanti.

E quindi continuiamo, si continua il cammino. Al solito, faccio qualche augurio a chi ha la pazienza di seguirmi. In questo caso l’augurio è che non perdiamo di vista questa attenzione al soggetto e troviamo i modi migliori per relazionarci con la nostra soggettività, con la soggettività altrui e quindi anche dare agli altri la nostra soggettività, e recepire lavoro.

Arrivederci a tutti.