Nella lezione su amore e giustizia ho osservato che, come esseri umani, troviamo naturale attribuire particolare importanza a certi modi di essere e di comportarsi; tra questi ho posto in evidenza, appunto, l’amore e la giustizia. Qui volgerò l’attenzione a un’altra di queste facoltà: si tratta della fiducia, etimologicamente legata alla fede.
Che cos’è la fiducia? La definirei come far finta di sapere ciò che non sappiamo. Può suonare strana come definizione, ma penso che sia efficace per essere consapevoli di ciò che avviene. Un esempio aiuterà a comprendere il meccanismo. Pensiamo ad un bambino che gioca con la mamma. Il bambino si butta all’indietro, si abbandona, la mamma lo sostiene, quasi all’ultimo momento, e lui è felice di aver provato questo brivido di essersi abbandonato al pericolo di cadere ed essere stato preso dalla mamma. Il gioco gli piace e vuol farlo ancora e ancora. Ogni volta il bambino non sa se la mamma davvero lo prenderà, non ha e non può averne la certezza matematica, per il semplice fatto che questa è una cosa impossibile per chiunque: nessuno di noi è padrone del futuro. Ma il bambino decide di farlo lo stesso: la relazione che ha con la mamma gli ha infuso abbastanza sicurezza del fatto che lei non lo abbandonerà alla sua caduta. Dunque, il bambino fa finta di conoscere il futuro: “La mamma mi prenderà”. Questa è la fiducia.
Possiamo evidenziare lo stesso meccanismo riguardo alla fede, un termine che si collega specialmente al piano religioso, sebbene possa essere usato anche in altri ambiti. Aver fede in Dio significa far finta di sapere che egli esiste e che ha certe caratteristiche, che possono essere la potenza, l’amore, l’onniscienza, in base al tipo di religione che si segue.
Perché noi umani pratichiamo la fiducia e perché le attribuiamo così grande importanza? Il primo motivo è la necessità: ci sarebbe impossibile vivere se, per esempio, tutte le volte che compriamo un panino dovessimo verificare che non sia avvelenato. La fiducia ci è indispensabile per poter vivere, perché non possiamo controllare tutto: dobbiamo inevitabilmente delegare un’infinità di controlli ad altre persone; dobbiamo far finta di sapere che il negoziante non ci ha venduto un panino avvelenato.
C’è un altro motivo esistenziale che ci fa attribuire alla fiducia un valore grandissimo: essa ci permette di far capire all’altro che abbiamo intenzione di interpretare il suo essere positivamente, abbiamo intenzione di intavolare con lui rapporti di amicizia, di stima, vogliamo essere a servizio della sua crescita, oltre che della nostra. In questo senso la fiducia assume un valore particolare quando viene esercitata nei confronti di chi ha mostrato comportamenti che la scoraggerebbero. Come dire: “Sei un ladro, ma voglio credere che in fondo al cuore sei buono, che se sei ladro è perché la vita non ti è stata favorevole e allora voglio mostrarti fiducia, perché voglio favorire la tua crescita, esponendomi ai rischi che ne conseguono e di cui tu stesso puoi renderti conto, se provi a metterti nei miei panni”. In questo senso la fiducia si fa percepire come uno strumento di miglioramento del mondo: io posso migliorare il mondo facendo sentire ai cattivi che ho fiducia in loro e quindi cercando di far prevalere i loro lati migliori. Questo in fondo è stato il criterio praticato da Gesù nel suo perdonare: come dire “Ti perdono sia perché so che tu puoi crescere, sia perché voglio scommettere che proprio il mio perdono sarà in grado di vincere ciò che in te è negativo e far crescere il meglio di te”.
Ho fatto tutta questa introduzione per giungere a un’altra questione: in base a quanto ho detto, può essere il caso di usare la fiducia come criterio di interpretazione del mondo e di Dio? Sarebbe come dire a Dio: “La logica mi dice che tu non puoi esistere, per il problema della teodicea, ma voglio avere fiducia, perché sento questa modalità come superiore, più grande, più profonda del semplice uso della logica per negarti”. Un sentimento del genere è seducente, perché è in grado di farci sentire persone generose, che vogliono essere costruttive, vogliono dare in questa vita il massimo di positività, vogliono praticare il meglio di ciò che è umano. In questo caso si può obiettare: che senso ha applicare fiducia verso un essere ragionevolmente inesistente? Con questo criterio potremmo decidere di dar fiducia anche all’esistenza degli asini che volano, tanto per mostrare l’intenzione di essere positivi e generosi. In altre parole, un bambino dà fiducia alla mamma perché l’esperienza gli ha offerto e continua ad offrirgli elementi che la giustificano; per esempio, se qualcuno sta per strappargli gli occhi, o lui li sta per strappare a un altro, la mamma non ci penserà due volte ad intervenire, non si porrà problemi riguardo alla libertà da rispettare, che è una delle giustificazioni a cui si tenta di ricorrere per il problema della teodicea. Non è difficile, quindi, con questo tipo di obiezione, proteggere la nostra capacità di dare fiducia dal pericolo di sprecarla verso cose o persone per cui non c’è motivo di usarla.
La questione si applica anche al mondo, di cui ho detto diverse volte che è male, è spiritualità universale che si contrappone alla spiritualità umana, che invece sentiamo come bene; il mondo sicuramente ha meno problemi a farsi sentire come esistente. Si può obiettare che il mondo non è una persona, perciò non ha senso applicargli fiducia.
Dunque fiducia a nessuno? Nella nostra vita non ci sono solo il mondo o Dio come possibilità: ci sono anzitutto gli altri e ci siamo noi stessi, cioè le persone umane. Con le persone umane assume tutt’altra rilevanza esercitare fiducia, per i motivi detti sopra; nel contesto del cammino che sto portando avanti, s’intende che la fiducia dev’essere, appunto, cammino, crescita, e deve includere anche critica e autocritica. Dunque è umanizzante esercitare positività, generosità, fiducia, perdono, ma praticandoli come un camminare, altrimenti si trasformano immediatamente in banalità, disonestà concettuale, inganno dell’esistenza.
Riassunto del video
La fiducia è una relazione educativa che dipende dal nostro camminare, più che dai meriti altrui; ne deriva che un buon camminare, facendo sperimentare relazioni di fiducia educative, favorisce anche il benessere.
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