Indice delle lezioni

 

Nel camminare umano, che suscita l’esperienza interiore che chiamo spiritualità umana, proprio in quanto si tratta di camminare umano, esiste anche la sosta come elemento necessario: non siamo macchine che possano procedere con una regolarità lineare. Procediamo piuttosto per diversi tipi di ritmi, peraltro non molto regolari. Questa necessità di principio della sosta è simile alla necessità di principio del riposo domenicale, con la relativa spiritualità, in ambito cattolico. Attraverso la pratica della sosta è possibile vivere l’esperienza della festa, di una spiritualità che si allontana dalla cura, un ristorare animo e corpo.

Nella prospettiva del camminare inteso come ricerca, la sosta assume la funzione di far coltivare la consapevolezza che di per sé il punto d’arrivo, il fine da raggiungere è il camminare stesso. Da ciò non segue che camminare sia inutile, visto che non ci sono novità da scoprire: il camminare non è infatti sempre lo stesso camminare, ma si ricrea e si rinnova attraverso il suo stesso porsi in atto.

Il camminare come punto d’arrivo esso stesso può essere paragonato al rapporto tra seme e pianta: c’è grande differenza tra il seme e la pianta, ma è anche vero che per certi versi c’è già nel seme tutto ciò che sarà la pianta, anche se in germe, in nuce, in una maniera che non è possibile sperimentare al cento per cento come se il seme fosse già pianta. In questo senso il camminare come meta si potrebbe anche paragonare alla teologia cattolica del già e non ancora.

Se durante il procedere del camminare si sperimenta di più il non aver ancora trovato, si potrebbe perfino dire l’angoscia, l’anelito del cercare, nella sosta si sottolinea piuttosto tutto il già presente della meta, tutto il già godibile di essa. Chi cammina è già nella meta e dunque ha già tutto, è già in tutto e perciò vale la pena soffermarsi a gustare e sperimentare con pace il già raggiunto, il grado di evoluzione raggiunto del proprio camminare. Senza la sosta il camminare si ridurrebbe solo ad un cercare senza mai vivere, sebbene anche nel cercare sia pur possibile un’esperienza del già.

Potremmo anche osservare, in questo schema, delle sottoversioni del camminare, dei sottocamminare piacevoli che è possibile vivere durante la sosta: li paragonerei a quando ci si diletta a giocherellare col cibo nel piatto e fare disegni col cucchiaio sulla salsa.

Paragonerei l’intrecciarsi di grandi e piccole soste, grandi cammini e piccoli sottocammini, al battito del cuore: c’è il pompare, verso l’esterno, il recepire verso l’interno e c’è anche ogni volta un attimo di sosta in cui il cuore si riposa, allo stesso modo in cui le onde acustiche o quelle del mare sono attraversate da onde minori.

D’altra parte, è in relazione a questo modo umano di procedere che in molti contesti preferisco il termine “camminare”, oppure “crescere”, al più astratto e filosofico “divenire”. In questa prospettiva trovo anche significativa, come immagine ricca di sintesi del sostare, quella del pasto festivo di gruppo. Il riferimento alla Pasqua domenicale cattolica è abbastanza scontato.

Salve a tutti. Siamo arrivati al post “Spiritualità della sosta”. In breve, nel post ho evidenziato che un camminare che sia umano richiede anche momenti di sosta. Ora, questa alternanza di movimento, di procedere in avanti e di sosta, potrebbe apparire come un girare in continuazione sempre sulle stesse azioni, ma già in un video precedente ho descritto, ho fatto riferimento, all’esperienza secondo cui ciò che può essere percepito come circolo vizioso, in realtà, all’atto pratico, può essere piuttosto sperimentato come un crescere, un divenire, per il semplice fatto che altro è considerare le cose in teoria, altro è viverle nell’esperienza concreta, nell’esperienza pratica.

In questo senso possiamo aggiungere un’annotazione di collegamento con quanto si usa dire in liturgia, in ambito cattolico. Cioè dire, in relazione all’anno liturgico, nella Chiesa Cattolica, in cui continuamente si ritorna al Natale, alla Pasqua, ogni anno sempre con le stesse ricorrenze, per evitare l’obiezione secondo cui si girerebbe sempre sullo stesso punto, si usa dire che in realtà si tratta di un cammino che ha una forma che si potrebbe immaginare come a spirale, cioè dire, c’è un movimento circolare, di ritorno continuo agli stessi eventi, il Natale, la Pasqua, ma c’è anche un evento lineare, un procedere lineare, che presuppone una crescita continua. Ora, come combinare queste due cose? In geometria, in matematica, c’è il riferimento alla spirale, cioè un avvolgimento, che però, avvolgendosi, va sempre in una terza direzione, una terza dimensione, o come la molla, o la vite, eccetera, ma giusto per dire che ci può essere crescita, evoluzione, progresso, anche nel ripetersi di certi ritmi. Ora, in questo senso potremmo quindi osservare che camminare quindi significa anche creare, nella misura in cui non è un ripetere in continuazione le stesse cose, sebbene ci siano dei ritmi. Un camminare che crea e che quindi, in questo creare, crea anche una un’esperienza di dolcezza. Come ho detto in altre occasioni, quando un’esperienza poi ci diventa familiare, la familiarità dà una sensazione di piacevolezza, di benessere, appunto di dolcezza. In questo senso potremmo collegarci anche a quanto dicevo nel post sulla giustizia, cioè dire, perché amiamo la giustizia? Per evitare di cadere in criteri metafisici, oggettivi, che poi sarebbero criticabili, possiamo dire questo: perché la giustizia ha capacità di farci percepire nell’intimo una sua dolcezza, così come il camminare, così come un’esperienza con cui abbiamo deciso di identificarci, con cui abbiamo deciso di familiarizzarci. Ora, tutto questo discorso è simile a quanto già detto nel post che ha come titolo “La spiritualità come nutrimento”: anche lì ho detto che, come esseri umani, come persone che camminano, possiamo sentirci chiamati a creare nutrimento, non solo a nutrirci noi. Alla stessa maniera, il camminare, che non è solo un ripetersi, ma è un procedere un crescere, è un creare e quindi un produrre cammini non solo per sé stessi, ma addirittura come proposta per gli altri, per il mondo. Addirittura, in questo senso, così come nel post sul nutrimento dicevo che addirittura, paradossalmente, la fame stessa può essere nutrimento, il camminare stesso può essere considerato sosta, perché già i passi che io compio, avendo loro gusto, una loro dolcezza, sono già come una piccola forma di riposo. Come dicevo per il nutrimento, non si tratta qui ora di negare il riposo e fondere tutto nel camminare. Si tratta soltanto di annotarlo, tenendo però presente che siamo esseri umani e quindi abbiamo anche bisogno delle differenziazioni esplicite, cioè dire del fermarci vero e proprio, così come nel nutrimento, sì, anche la fame per certi versi teorici, può considerarsi nutrimento, però è necessario anche il momento in cui ci si ferma a mangiare concretamente.

Quindi auguro a tutti di riuscire a mettere insieme tutti questi elementi, che ritengo preziosi e arricchenti per la nostra esistenza. Cioè dire il fatto che siamo umani, quindi possiamo teorizzare, e nel teorizzare possiamo osservare molte cose, e tante altre cose però diventano parte dell’arricchimento sotto forma della necessità umana di differenziare, e quindi nutrirsi, riposare, avere momenti di diversi tipi di diverse qualità. Arrivederci e buon progresso, buon cammino spirituale a tutti.