Indice delle lezioni

 

Ci sono alcune idee che, messe insieme, suggeriscono prospettive interessanti.

La prima idea è una critica dei concetti di complessità e di grandezza. Quando parliamo di complessità e di grandezza, siamo in realtà molto condizionati dal riferimento a noi stessi e alla nostra mente. Giudichiamo una cosa estremamente complessa quando essa risulta tale in relazione alle possibilità e alle capacità della nostra mente; lo stesso vale per l’idea di grandezza. Da un punto di vista critico, ovviamente, l’osservazione opposta consiste nel prendere atto che, per esempio, un computer o un cervello grandi quanto il pianeta terra o quanto l’intero universo, non sono oggettivamente grandi e complessi: possono anche essere considerati microscopici e semplicissimi. La conseguenza del nostro modo umano di valutare complessità e grandezza è una rinuncia ad approfondire ciò che si profila troppo grande o troppo complesso. Un cervello che fosse la somma di tutti i cervelli umani del mondo e di tutti computer del mondo, installato in un contenitore in grado di ospitarli tutti e metterli tutti in collegamento, ci appare intuitivamente di una complessità tale che la nostra mente preferisce pensare ad altro. La conseguenza di questo pensare ad altro è un mancato approfondimento delle ulteriori prospettive di ricerca, che possono conseguire da una maggiore disponibilità a prendere in considerazione queste idee, che istintivamente ci risultano mastodontiche.

La seconda idea che vorrei mettere nel minestrone è la combinazione di idea di coscienza e concezione materialistica della realtà: se la coscienza non è altro che un insieme di neuroni predisposti ad interagire in modo da creare a sé stessi la convinzione di essere coscienza di un io, allora tutto ciò che esiste nel mondo può essere considerato come portatore di diversi livelli e diverse organizzazioni di coscienza, ma sempre portatore di coscienza, visto che ultimamente la coscienza non è altro che una qualsiasi interazione di atomi; ciò che distingue la nostra autocoscienza da quella di una pietra è solo la diversa complessità e la diversa organizzazione. Non esistono, concettualmente parlando, salti, ma solo gradi, infinitamente suddivisibili come la distanza che separa Achille dalla tartaruga.

Mettendo insieme queste due idee, ne consegue che anche il disordine cerebrale provocato dalla morte, oppure dalla futura deflagrazione del sole che disintegrerà la terra, non è in grado di rendere nullo il precedente ordine presente quando il cervello era vivo. Si tratta di differenze infinite e infinitesimali, un confronto tra ordini e disordini infiniti e infinitesimali, ma la prima idea che ho espresso ci consente di affermare che, in realtà, nulla del passato viene cancellato e ogni coscienza viene solo trasformata in altro organizzato diversamente, sulle cui capacità di autocoscienza nulla riusciamo a percepire, perché ognuno di noi è strutturato in modo da riuscire a vedere solo la propria.

Con questo intruglio di idee non intendo cadere nell’ingenuità di recuperare una qualche idea di resurrezione, né dimenticare l’assenza in natura di una qualsiasi moralità o differenza tra bene e male. Possiamo però pensare che il nostro esistere come coscienza, con le caratteristiche tipiche del nostro DNA, non sarà comunque mai annullato, ma solo e sempre trasformato.

A questo risultato possiamo aggiungere l’osservazione che il nostro modo di organizzare la percezione degli esseri è tutto condizionato dalla predisposizione del nostro cervello ad associare gli oggetti più vicini o che comunque ci risultano più collegati. Quest’idea ovviamente suggerisce una critica della nostra percezione tradizionale: nulla vieta di sospettare che esista un modo con cui lo sportello della mia auto si trovi in connessione, piuttosto che con il resto dei dispositivi della mia auto, con, per fare un esempio distante, la penna che si trova nella mia scrivania. Questa critica non è altro che la ripresa di un’osservazione che facevamo a proposito del crucipuzzle: nulla vieta di individuare regole di collegamento delle lettere che ci mostrino connessioni anche tra lettere lontanissime. Anche qui, non vogliamo cadere nell’ingenuità di sospettare connessioni fantomatiche tutte da scoprire: è proprio la regola della connessione ad avvertirci sulla distanza che esiste tra oggetti fisicamente lontani; però la prima idea che ho espresso ci permette di concludere che, comunque, non si tratta di connessioni inesistenti: se una connessione è possibile, allora esiste già.

A che cosa può servire la consapevolezza di tutto questo? Può servire a renderci conto che tutto ciò che facciamo oggi avrà comunque un effetto eterno in tutto ciò che seguirà. In questo senso, alla fin fine, non avremmo fatto altro che riscoprire l’effetto farfalla. Si potrebbe obiettare: cosa vuoi che sia un atomo di fuoco che, dopo la deflagrazione del sole, a causa di una buona azione che abbiamo compiuto, verrà a trovarsi spostato un po’ più a destra? Possiamo obiettare che la nostra coscienza attuale, in tutta la sua complessità, in realtà non è altro che il frutto di atomi ed energie disposte un po’ più a destra o un po’ più a sinistra, in una combinazione tale da formare ciò che siamo. Non sembra una grande soddisfazione sapere che il frutto di un nostro sacrificio non sarà altro che un atomo un po’ spostato, ma questa nostra valutazione negativa avviene solo perché siamo ancora istintivamente abituati a pensare in maniere tradizionali, rispetto alle critiche connesse alle idee suesposte. Pensare cercando di far tesoro di tali critiche ci consente di dare più importanza ai nostri comportamenti, alle nostre scelte, anche mantenendo l’idea di inesistenza della libertà, senza peraltro dover ancorare tale importanza a concetti ancora legati al tradizionale, quali la resurrezione e la morale. Cioè, tutto ciò che facciamo ha importanza, non però per motivi morali o ultraterreni, ma, modestamente eppure con solidità, per motivi che possiamo chiamare di disincantata spiritualità. Spiritualità disincantata significa umile, modesta, senza pretese e senza fantasie, ma forte di un pensare critico che non la fa ritenere inesistente. In altre parole, è vero che la morte è in grado di far pesare irresistibilmente il suo peso alla nostra coscienza, come Heidegger ci ha insegnato, ma è anche vero che la nostra coscienza non è inesistente: ha anch’essa il suo piccolo peso, seppur modestissimo da un punto di vista tradizionale. Il nostro microuniverso di spiritualità umana non si riduce a un nulla, ma, in quanto nient’altro che parte del macrouniverso, ha anch’esso una sua consistenza ineliminabile. Se in questo contesto moralità, distinzione tra bene e male, non significano nulla, ha significato l’esistenza di una prospettiva spirituale portata avanti, vissuta da un DNA umano.

Riassunto del video

Ogni certezza materialista rimane pur sempre una prospettiva, come anticipato nel video per il post n. 15. Cercheremo quindi sempre di vigilare per non cadere nella tentazione di Cartesio. Possiamo scegliere con che cosa relazionarci, piuttosto che quali certezze individuare e l’ascolto può risultare una scelta valida. Tutto potrebbe sembrare circolo vizioso, ma un circolo vissuto si lascia sospettare diverso da un circolo soltanto pensato.