Indice delle lezioni

 

Per spiegare cosa intendo qui per paesaggi dello spirito, devo far riferimento all’esperienza dei paesaggi che normalmente si offrono ai nostri occhi.

A volte, ma si potrebbe dire anche quasi sempre, i paesaggi, gli ambienti, ci suscitano interiormente delle sensazioni particolari, che diremmo perfino strane.

Quanto sto per dire potrebbe essere un’altra spiegazione del fenomeno del déjà-vu; la spiegazione psicologica già esistente è abbastanza ovvia, almeno nel modo in cui la concepisco io: proviamo la sensazione di essere già stati in un posto perché esso contiene qualche caratteristica che ci richiama esperienze già vissute: niente di speciale dunque, niente di soprannaturale. L’altra spiegazione, implicitamente contenuta in ciò che dirò, è anch’essa materiale e non presuppone alcunché di extra-fisico.

La mia ipotesi è che la sensazione sia provocata dal fatto che quel certo paesaggio suscita dentro di noi il richiamo di altri paesaggi simili, ma fatti di idee, paesaggi dello spirito. Proviamo a spiegare meglio il concetto.

Se ci chiediamo in che modo sono organizzate le idee nella nostra mente, sarà ovvio renderci conto che esse non hanno la struttura che diamo ad esse quando, per esempio, le scriviamo su un foglio in maniera ordinata: le idee nel nostro cervello non hanno sicuramente una struttura per paragrafi, o ad albero, o qualsivoglia immagine ordinata che possiamo pensare come modello. Esse hanno organizzazioni diverse, certamente più disordinate.

Ora, la mia ipotesi è che il modo in cui i nostri neuroni hanno organizzato, o riorganizzano in continuazione, nel nostro cervello le nostre idee possa avere delle somiglianze, per esempio, con le onde del mare, un paesaggio o ambienti di vario genere in cui possiamo venirci a trovare.

Possiamo anche tener presente che le nostre idee possono possedere contemporaneamente strutture multiple, a somiglianza di come una singola onda acustica complessa può veicolare simultaneamente il suono di molti strumenti riconoscibili uno ad uno, o di come in un crucipuzzle sia possibile riconoscere le parole più diverse semplicemente inventandosi le più diverse strutture, i diversi schemi con cui individuarle. Si capisce che, in questo senso, le strutture possibili sono infinite e ciò può spiegare come qualsiasi tipo di ambiente, qualsiasi geometria o paesaggio sia sempre in grado di suscitarci sensazioni profonde e indefinibili.

Lo stesso concetto può essere applicato alla musica, o a qualsiasi altra cosa: si può ipotizzare che i suoni musicali, con le strutture contenute nei loro timbri, nel loro andamento, nelle loro varie caratteristiche, richiamino strutture delle nostre idee, strutture che poi possono corrispondere anche a diversi tipi di sensazioni o emozioni.

Ovviamente ci possono essere tantissimi altri motivi validi per giustificare le nostre varie sensazioni; quello che sto proponendo qui è solo uno dei motivi possibili, peraltro del tutto ipotetico.

A questo punto potremmo chiederci: ammesso che in quest’ipotesi di paesaggi dello spirito possa esserci qualche briciola di verità, a che serve? Non serve a niente, così come a niente serve la spiritualità: serve soltanto al piacere di esplorare idee, sensazioni, silenzi, un piacere che riesce a dimostrarsi umanamente costruttivo.

Ciò che ho appena descritto, più che essere un parlare di spiritualità, si approssima ad un “fare spiritualità”; d’altra parte, se, come “spiritualità universale”, tutto è spiritualità, ciò significa che sempre facciamo anche spiritualità.

Riassunto del video

Come fa il pittore, noi adeguiamo la realtà al nostro intelletto e questo può anche dare una spiegazione della nostra tendenza a personificare. La storia in fondo è la nostra percezione soggettiva dei fatti storici. Conoscenze deformate, come per esempio le superstizioni, sono uno strumento importantissimo per conoscere caratteristiche profonde della nostra umanità. Quando guardiamo l’universo è utile considerare anche l’universo che siamo noi, come soggetti che lo guardano.