Indice delle lezioni

 

Non è possibile vivere in prima persona la spiritualità senza compiere una scelta di parte e praticare qualche spiritualità particolare, per esempio una religione, una filosofia, un’arte, o perfino, ad esempio, uno sport. Nonostante ciò, è possibile individuare certe attività fondamentali che sono abbastanza comuni a tutti i tipi di esperienza spirituale e possono essere vissute come esperienza essenziale di spiritualità, anche senza aderire ad alcuna spiritualità particolare. Una di queste attività pratiche fondamentali è il trovarsi in presenza di una persona, seguito da un momento opposto, cioè porsi in una situazione di solitudine e silenzio, meglio se in un paesaggio naturalistico bello e sereno, in cui meditare su ciò che l’esperienza precedente ha prodotto in noi.

Per esprimere questo in termini ancora più facili e concreti possiamo dire così: vuoi capire cos’è la spiritualità? Allora stai vicino a qualcuno, poi separati in solitudine e fai silenzio. Nel silenzio potrai ripensare a ciò che hai provato mentre stavi accanto a quella o quelle persone e a come ti rimangono ancora dentro delle sensazioni di quel tuo essere stato accanto ad altri; potrai pensare a se e come la presenza dell’altro abbia influito e continui ad influire sulla tua vita considerata globalmente, specialmente da un punto di vista del senso. Questi pensieri e queste sensazioni sono spiritualità.

Salve a tutti.

Questo video si riferisce all’argomento trattato nel relativo articolo. in cui ho detto che per avviare un’esperienza di spiritualità vera, autentica, un primo passo può essere quello di stare accanto ad una persona e poi, stando da soli, riflettere sull’esperienza vissuta o riviverla, ripensarci.

Ora, riguardo a questo, si potrebbe fare un’obiezione, cioè: stare accanto a una persona può essere anche un’esperienza non tanto gradevole perché esistono anche le persone cattive, i malvagi, o semplicemente le persone con cui stiamo a disagio. E allora uno può chiedersi: ma che razza di spiritualità ho vissuto stando (accanto) a una persona che mi odia, o comunque con la quale ci sono rapporti problematici? Ora, da un punto di vista teorico anche questa si può chiamare spiritualità, però noi non siamo qui per fare pura teoria, noi abbiamo bisogno di essere vicini all’esperienza più umana, più concreta, che abbiamo la possibilità di vivere come spiritualità. E allora come può essere spiritualità lo stare insieme accanto a una persona che ci crea difficoltà, che ci crea anche la sofferenza. Poi, detto in altre parole più generiche che si riferiscono anche alla storia spirituale del mondo: come può essere spiritualità la croce di Gesù? Perché poi è questo il simbolo del soffrire causato da altre persone. Ma possiamo pensare anche al pianto, il pianto di un bambino. O addirittura anche gli animali abbiamo esperienza che piangono, come per esempio un cane. Che spiritualità si può chiamare questa?

Ora, da un punto di vista, quindi, di attenzione umana, possiamo osservare che anche il soffrire, anche il pianto, come il pianto di un bambino, può essere considerato spiritualità costruttiva perché si tratta di una reazione umana alla sofferenza, che si sforza di trasformarla in momento di crescita. È questo il tentare di farlo diventare un momento positivo. Naturalmente chi è all’interno, per esempio della religione cristiana, dirà che il positivo consiste nel fatto che Gesù è risorto, ma qui siamo da un punto di vista più universale, più generale, e non tutti credono, non tutti hanno fede nel fatto che Gesù è risorto. Ora, al di là dell’esperienza della risurrezione di Gesù, dicevo anche il pianto di un bambino può essere considerato un’esperienza spirituale di reazione alla sofferenza, nel nostro caso particolare dell’essere stati con persone che ti fanno stare male. In che senso è crescita? Nel senso che sia il pianto, sia qualsiasi altro modo di percepire la negatività di essere stati con persone problematiche, queste reazioni sono uno sforzo di far diventare la sofferenza momento di crescita. In che senso, in che modo il pianto di una persona può essere considerato un momento di crescita nella sofferenza? Può esserlo se leggiamo il pianto come un invito a rileggere l’esistenza cercando di raccontarne la sofferenza e cercando di dire: qui il non senso ha vinto, ma io non mi rassegno, allora chiamo a raccolta tutti gli altri amici del mondo e dire: come può essere che la mancanza di senso della vita ha vinto? Ora, già questa reazione, questo cercare, si può considerare una risposta che tenta di essere costruttiva. La vera risposta negativa sarebbe chi dica: l’esistenza non ha senso, alla sofferenza non c’è niente con cui reagire e quindi non c’è niente da fare, rassegnamoci. Il tentare di vivere un’esperienza spirituale e quindi il reagire, qualunque sia la reazione – la reazione più tipica è quella appunto, ho citato il pianto – il tentare di reagire e non rassegnarsi è già un tentativo umano di non fermarsi a dire: è così, non possiamo farci niente, ma continuare una ricerca. Una ricerca che può considerarsi come rivolta a tutti, quindi una ricerca da fare insieme, oppure anche una ricerca da fare per conto proprio, nel senso che esiste anche il piangere da soli, senza richiamare attenzione di alcuno, ma anche quello si può considerare in ogni caso un tentativo di trasformare il soffrire in qualcosa che sia crescita. Anche se nel momento del pianto non sappiamo verso dove dovremmo crescere, in ogni caso però c’è il tentativo di non fermarsi, non bloccarsi.

Mi fermo quindi con questa annotazione, con questa particolare osservazione sul senso che può avere il pianto e quindi auguro a chiunque di vivere la sofferenza e le esperienze umane, anche quando sono negative, non come un bloccarsi, fermarsi, morire, rassegnarsi, ma come un reagire affinché alla ricerca prosegua, sia che si tratti di ricerca fatta insieme ad altre persone o tutto il mondo intero, sia che si tratti di ricerca portata avanti a livello personale. Auguri a tutti e arrivederci al prossimo articolo.