Indice delle lezioni

 

Per chiarire la contrapposizione tra narrare e sperare, teniamo presente il contesto di spiritualità che man mano in questo blog ho inteso delineare: è ormai chiaro che la filosofia a cui faccio riferimento è relativismo, autocritica, antimetafisica, assenza di verità. Credo che nel mondo occidentale ci troviamo tuttora nel pieno processo di una progressiva liberazione dalle tentazioni generalizzanti che abbiamo ereditato dalla filosofia greca e che ancora ci condizionano. Un aspetto di questo processo è anche il progressivo spostamento da un modo di pensare logico, raziocinante, a stili che invece si ispirano al narrare. Notiamo, di passaggio, che nei nostri sogni, in fondo, il nostro cervello non fa che esprimersi secondo il narrare. Questo processo di passaggio ci conduce progressivamente ad una liberazione dalla ricerca di senso o sensi: il concetto stesso di senso porta con sé il presupposto che esso sia qualcosa di valido sempre, mentre invece l’esistenza ci costringe a prendere atto che non esistono verità o sensi sempre validi. La ricerca di senso è in effetti sempre ricerca di pre-senso, cioè sforzo di individuare qualcosa che è stato già valido nel passato ed è e sarà valido sempre. Secondo l’orientamento verso cui ci dirigiamo, invece, i sensi sono sempre fisionomie particolari, locali, si fabbricano e si creano volta per volta e non esistono sensi che dureranno più di un giorno o due. In questo contesto si può osservare che è stata la concettualità greca a far considerare la non violenza di Gesù come un atto definitivamente risolutivo, cioè creatore di senso valido per sempre. Per noi oggi diviene utile chiarire che invece ogni atto di non violenza propone un’alternativa esistenziale momentanea; la non violenza non è un senso valido per sempre, non è soluzione definitiva di alcun problema, ma soltanto una proposta locale, provvisoria, destinata ad essere modificata e condotta verso spiritualità sempre migliori. Il passato certo non si cancella, ma non è neanche persistente; esso è fluido, modificabile, debole, perché soggetto a continua reinterpretazione e risperimentazione spirituale da parte del nostro presente e da parte del futuro.

In questo contesto di spiritualità sempre in costruzione e creazione, sempre in fieri, nulla è garantito da nulla e così tutto ciò che chiamiamo speranza si sottopone piuttosto al contesto mentale della probabilità. Se infatti intendiamo la speranza come semplice desiderio umano, allora essa è un concetto innocuo, neutrale; ma se vogliamo intenderla in un senso più universale, generalista, come senso e motivo dell’esistenza, allora bisogna precisare che nulla garantisce al cento per cento alcuna speranza. Esistono solo probabilità che un certo evento accada, ma nulla è certo, nulla garantisce il lieto fine di un’esistenza. È vero che nulla vieta di sperare, ma, se vogliamo avere a che fare con spiritualità aperte al confronto con la critica, ci scontriamo con una situazione simile a quella del problema che demolisce Dio, cioè il problema della teodicea. La presenza del male nel mondo smentisce non solo l’idea di un Dio personale e quindi responsabile, ma anche l’idea di un bene qualsiasi che si voglia intendere come certo, garantito, come qualcosa su cui poter confidare, approdare in maniera definitiva. In questo senso viene sottoposta a critica la spiritualità ebraica, di origine veterotestamentaria, che mira a coltivare la speranza grazie alla pratica del fare memoria. Secondo questa spiritualità, si deduce che, se Dio già in passato ha liberato le persone in momenti totalmente disperati, allora c’è motivo di sperare che lo farà anche in futuro. Questa logica viene smentita da una spiritualità che preferisca non chiudersi alla critica, anche se ciò comporta un lavoro di progressione verso modi di pensare e di vivere interiormente diversi.

Riassunto del video

La spiritualità non nega la speranza, ma consente di usufruirne senza bisogno di aderirvi, né di assumerla come salvezza. Si tratta di un meditare, contemplare, che è un percorrere narrazioni. La crisi dei padri e delle confortevoli dimore può essere orientata verso un apprezzamento positivo della critica come dimora.