Indice delle lezioni

 

Una volta che la filosofia dell’esserci di Heidegger ci ha condotto verso un’ermeneutica del particolare, della fisionomia, anche che cosa siano il male e il bene diventa una questione da ridefinire. Il problema è significativo perché il concetto di spiritualità portato avanti in questo corso è stato legato a quello di una spiritualità universale, identificata, nell’esperienza umana, come il male stesso. In un’ermeneutica della fisionomia non è possibile avanzare un concetto di male universale, poiché non sarebbe altro che una metafisica del male, mascherata dietro una generalizzazione dell’esperienza umana.

Possiamo osservare che la sofferenza, da un punto di vista materialista, non è altro che un meccanismo fattosi strada nel nostro DNA, grazie alla sua attitudine a favorire la nostra azione per la sopravvivenza. In questo senso non esiste il male, esiste solo un meccanismo di sofferenza. Anche un computer potrebbe essere programmato in modo da star male, cioè in modo che s’inneschino in esso dei meccanismi di tensione che lo spingano a certi comportamenti. Tutto questo, come non inficiava il valore dei sentimenti e della pietà, non inficia la profondità del soffrire: soltanto la conduce ad umiltà. Se io sto male, non tutto il mondo sta male. Se anche l’umanità intera soffre e sta male, non tutto il mondo sta soffrendo e sta male. Ci si accorge così che la filosofia dell’esserci, e quindi del particolare e delle fisionomie, ci conduce ad interrogarci su un altro meccanismo presente in natura, cioè il bilanciamento tra importanza del singolo, con conseguente complessità di autocoscienza, e importanza di tutto il resto. Anche su questa linea non avviene altro che un essere ricondotti a modestia, senza che venga mai annullato un minimo di valore del singolo e della sofferenza.

Ci rendiamo conto, in questo modo, che una filosofia universalista alla greca non fa che continuare implicitamente una vecchissima mentalità dell’uomo al centro del mondo, sorgente dei significati di tutto ciò che gli sta intorno.

D’altra parte, questo discorso non elimina la possibilità comunque di effettuare delle generalizzazioni; queste generalizzazioni però andranno intese semplicemente come prospettive con cui dialogare e non come visioni fondamentali. In questo senso, un concetto di spiritualità universale intesa come male può essere mantenuto, avendo chiaro che si tratta di una prospettiva funzionale alla ricerca e non di una definizione primaria della nostra condizione. Su questa linea anche il concetto stesso di esistenzialismo, di condizione esistenziale, va considerato come una prospettiva con cui dialogare e non come via fondamentale su cui camminare.

In sintesi, osserviamo che la grecità non è un modo di filosofare da cui definitivamente congedarsi, come Vattimo ha usato dire, ma con cui mantenere un dialogo critico; d’altra parte, perché congedarsi? Se dovessimo congedarci da tutto quando è difettoso non resterebbe proprio niente con cui mantenere rapporti. E poi, sarebbe davvero possibile un tale congedo? Il concetto stesso del congedarsi implica in sé l’idea che ci si debba mantenere in relazione con concetti che funzionano e congedarsi dal resto; il problema è che non esistono concetti che funzionano, quindi non ci si congeda da nulla; tutto si mantiene, nulla viene mai superato definitivamente, tutto si evolve, si aggiusta, si modifica. Proprio questo non congedarci assume la funzione di un’ulteriore guida alla modestia, modestia che poi non è altro che un cercare di muoversi mantenendo viva la coscienza della nostra particolarità fisiognomica.

In questo senso la stessa idea di fare ricerca sulla spiritualità, assunta come compito di questo sito, è da precisare: non esiste la spiritualità, ma tante spiritualità e tanti concetti diversi di spiritualità; si può anche tener presente che il nome di questo sito può intendersi come plurale. Anche qui, però, non si tratta di rinunciare a un’idea generalista della spiritualità, cosa che ci condurrebbe ad una nuova superbia, ma di intenderla come prospettiva funzionale a dialoghi che riteniamo utile coltivare.

Riassunto del video

Un aspetto coltivabile della spiritualità è il porre in atto e recepire nella propria vita gesti simbolici, concentrati di significato, e favorire con essi familiarità.