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Oggi diversi ricercatori in campo umanistico indicano l’arte come una via risolutiva, o per lo meno come tra le più arricchenti, per una realizzazione migliore del nostro essere umani. Ci sono però diversi fraintendimenti in questo senso e sarà utile anche aggiungere delle importanti precisazioni.

Un fraintendimento comune è quello di intendere l’arte come salvezza, perfezione, quasi paradiso. Contro questo errore, i miei articoli precedenti sulla spiritualità hanno già fornito i presupposti critici: l’arte non è e non può essere salvezza, perché il concetto stesso di salvezza è falso, ingannatore. Da quando questo mondo esiste, nessuno ha saputo indicare salvezze, intese in senso radicale. In questo senso ci ritroviamo in nient’altro che nel problema della teodicea: nessuno ha mai saputo dare risposte soddisfacenti al problema del male.

A questa osservazione si può aggiungere che l’arte stessa, così come la spiritualità, può anche essere un male, o perfino il male. Questo ci rinvia alla consapevolezza che, da un punto di vista oggettivo, non c’è modo di distinguere il bene dal male: l’universo di cui siamo parte procede per le sue vie e non si cura se esse procurino distruzione oppure felicità.

Per dirla in positivo, l’arte, così come la spiritualità, è semplicemente una facoltà, una capacità umana, che oggi possiamo ritenere valga la pena di coltivare perché arricchisce il nostro essere, le nostre prospettive, i nostri orientamenti, le nostre categorie ed esperienze. Ciò non è poco se lo confrontiamo con la criticabilità di qualsiasi altra attività.

Un altro fraintendimento diffuso è quello di considerare l’arte in sé, perdendo di vista il suo valore di riferimento alla spiritualità, che è indubbiamente un contesto più ampio. Cioè, ciò che costituisce il più autentico arricchimento umano non è l’arte in sé, per quanto essa possa essere valida e costruttiva. Concentrarsi sull’apprezzamento di un quadro, o della musica, o della letteratura, può risolversi esattamente nel contrario di ciò che si dovrebbe cercare, cioè in un impoverimento dell’esistenza. L’arte, in questo senso, va apprezzata come fornitrice di modi di orientarsi che troveranno il loro spazio più adeguato nell’orientamento generale della spiritualità. Ad esempio, il quadro di un pittore può mostrarmi come il mondo può essere concepito; se però questa concezione del mondo verrà limitata a sentimento artistico, avremo fatto ben poco. Quel quadro, piuttosto, va valorizzato come illuminazione verso vie alternative con cui esplorare l’intera esistenza umana. Una volta che s’intraprenda questa direzione, ciò che conta non è più quel quadro o il messaggio che contiene, ma la metodologia di approccio alle comprensioni dell’esistenza verso cui quel quadro ha saputo orientarci. A quel punto, il quadro va abbandonato, dimenticato, per far posto al cammino di esplorazione dei sensi dell’intera esistenza; su questa via sarà naturale poi confrontarsi anche con la critica con cui il camminare spirituale ci ha reso familiari.

Una volta che abbiamo sgombrato il terreno con questi chiarimenti, è il caso di osservare che i vari campi della ricerca umana hanno formato, nel corso della loro storia, dei punti di riferimento che ormai costituiscono le basi dell’orientamento della nostra cultura mondiale, storica, di oggi, anche senza che ce ne accorgiamo. In questo senso, se in filosofia, ad esempio, assumiamo tra i punti di riferimento le ricerche che furono portate avanti da Platone, o Aristotele, o Pascal, ciò non avviene perché questi punti abbiano delle ragioni sistematiche, oggettive. La storia della filosofia non ha uno sviluppo sistematico; pur nella sua disorganicità ha comunque stabilito ormai dei di riferimenti storici per la nostra mente, per cui è più fruttuoso portare avanti la ricerca a partire da queste pietre miliari storiche, piuttosto che basandosi su criteri di sistematicità oggettiva, sebbene questi ultimi conservino comunque il loro valore. Per questo motivo risulta pressoché indispensabile avere una conoscenza della storia della filosofia, proprio per saper ragionare, saper usare il pensiero, tenendo presente che i meccanismi del nostro pensare sono in realtà costituiti da questa storia.

A questo punto è opportuno osservare un altro fenomeno che si viene a verificare all’interno di ogni campo di ricerca. Si tratta del progressivo allontanarsi dei linguaggi da ciò che le masse riescono ad intendere. Cioè, per fare un esempio, nel campo della ricerca sulla Bibbia sono stati portati avanti approfondimenti tali di fronte ai quali il profano non può fare a meno di sentirsi scoraggiato. Lo stesso avviene nell’arte: i colori, il modo di tratteggiare le linee, hanno assunto lungo i secoli della ricerca artistica dei significati tali da formare tutto un loro linguaggio, che al profano non potrà non risultare incomprensibile e di conseguenza non fruibile. È sensazione di starsi perdendo l’aggiornamento, la partecipazione, a tutto un universo che si espande in continuazione e così sempre di più si allontana da noi e ci fa rimanere arretrati, fuori di un mondo che sarebbe preziosissimo per vivere nella maggior pienezza la spiritualità della nostra esistenza. D’altra parte, non avrebbe senso chiedere agli specialisti di fermare le loro ricerche per non allontanarsi dalle masse. Per questo problema ci sono però delle osservazioni che ci possono confortare. Se, ad esempio, un matematico può incontrare enormi difficoltà nel comprendere una scultura, nondimeno, se questo matematico avrà approfondito bene la sua propria specialità, la matematica, avrà anche imparato l’umiltà e avrà praticato delle forme di interdisciplinarietà. Quindi, intanto non commetterà l’errore di disprezzare ciò che non capisce; poi, piuttosto che struggersi per la complessità dei linguaggi della scultura, sarà, al contrario, felice di trovarsi di fronte a campi di esplorazione entusiasmanti. Si capisce dunque che l’ignoranza a cui i limiti del nostro cervello ci costringono non è un vero problema se viene vissuta con atteggiamenti corretti, cioè, in definitiva, nel piacere di camminare e camminare insieme.

Infine, possiamo prendere in considerazione il problema di educare altri, per esempio i figli, verso queste strade. Presso la massa va di moda l’idea di lasciare ad essi la libertà di queste ricerche e si tratta di un’idea tipica della massa, cioè acritica, perché non considera che questa libertà è estremamente condizionata già in partenza. La libertà non si crea lasciando fare, lasciando liberi, ma assumendosi la responsabilità del mondo storico in cui con la nostra nascita ci siamo venuti a trovare coinvolti. La libertà si sviluppa attraverso la coltivazione, non attraverso l’abbandono, che è un concetto falso. Ancora una volta ci troviamo nel problema di gestire i limiti del nostro cervello e della nostra condizione umana. Ciò che conta non è oltrepassare, rompere, infrangere, sorpassare questi limiti, ma piuttosto viverli negli orientamenti migliori. Non è necessario essere esperti in tutti i campi, quanto piuttosto atteggiarsi verso di essi nelle maniere più corrette, cioè l’umiltà e il camminare.