Indice delle lezioni

 

La chitarra è come un’orchestra a cui possiamo guardare dal lato opposto di un binocolo”: queste parole di Andrés Segovia offrono una categoria mentale molto utile per l’esperienza della spiritualità. La spiritualità umana, il bene, sperimentata primariamente nel silenzio, in relazione alla spiritualità universale, il male, può essere considerata un microuniverso in cui abbiamo la possibilità di camminare e vivere un’esistenza. In quanto micro-, sarà percepita come qualcosa di limitato, piccolo, insufficiente, debole; per certi versi possiamo solo dire che non abbiamo altro a disposizione e dunque dobbiamo accontentarci. Per altro verso, trattandosi davvero di un -universo, con un po’ di pazienza possiamo apprezzare e gustare tutta la sua estensione, la sua micro-immensità. Anche se è micro, è pur sempre un ambiente in cui è possibile sperdersi e nuotare senza sapere fin dove arrivano i suoi confini.

Tornando al paragone con la chitarra, non è difficile sperimentare come una chitarra classica, col suo suono flebile, microscopico, possa comunicare infinitamente più potenza di una chitarra elettrica sostenuta da altoparlanti in grado di far crollare un edificio. Questo ci dice che la differenza tra micro e macro universi non è questione di dimensioni esteriori, ma di coltivazione di sensibilità umana. Con ciò non vogliamo cadere nella facile tentazione di considerare sconfitta la morte, il male, semplicemente coltivando esperienze di microuniversi. I macrouniversi fisici, la spiritualità universale, mantengono tutta la loro capacità di imporsi alla nostra esperienza e di ucciderci; la nostra risposta di dedicazione ai microuniversi si pone con umiltà, modestia, debolezza; ma debolezza non vuol dire inesistenza; è coltivazione, un termine che già in sé esprime l’idea di essere un tentativo, non un’affermazione di forza.

Ogni arte può essere valutata con questa categoria di microuniverso. Anche in pittura, per esempio, un quadro è un mondo limitatissimo in cui potersi muovere, eppure attraverso di esso è possibile esplorare mondi di cui ancora oggi ignoriamo totalmente i confini, le potenzialità espressive.

Questi microuniversi sono in divenire, sono vivi, vivono dentro di noi e ci permettono di vivere. Ognuno di noi stessi è un microuniverso, che ha la possibilità, tra l’altro, di coltivare il microuniverso della spiritualità umana, proprio nel senso più astratto, cioè anche svincolata dalle sorgenti particolari, quindi soprattutto la spiritualità del camminare del silenzio.

In questo modo di sperimentare il silenzio è possibile essere tentati da accentuazioni verso la percezione del male o verso quella del bene; da questo punto di vista possiamo immaginare ognuno di noi stessi come un viandante, che si porta dentro il suo tesoro di microuniverso vivente, un viandante che durante il suo cammino si guarda intorno e vede sia il bene che il male, sia la strada che ha alle spalle, sia quella che gli viene incontro di fronte e sia il paesaggio ai lati, con altri che pure percorrono i loro cammini.

Segovia

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Salve a tutti.

Siamo arrivati al post che ha come titolo “La spiritualità come micro-universo”. Possiamo collegare il discorso di questo post con ciò che dicevo nel video “La croce e la bellezza dell’amore”, in cui dicevo che l’artista ci insegna l’ascolto dell’esperienza. Cioè dire, per esempio, un pittore mi disegna un albero e dal modo in cui lo disegna egli m’insegna a guardarlo con occhi più umani. “Occhi più umani” poi può avere tanti significati, ma intanto è questa la prospettiva generale con cui si può considerare ciò che l’artista mi insegna. Ora, collegandoci con il post presente “La spiritualità come micro-universo”, possiamo tener presente che l’artista, insegnandomi l’ascolto dell’esperienza col suo modo di vedere le cose, egli forma, crea, un altro piccolo universo, o perlomeno gli dà consistenza, lo mette in evidenza: è il micro-universo della nostra esperienza, del nostro modo di percepire le cose. In questo senso, tornando all’esempio dell’albero, c’è l’universo naturale degli alberi come li vede la macchina fotografica, ma c’è anche l’universo nostro interiore di come noi vediamo gli alberi, e allora l’artista, disegnandomi l’albero come lo vede lui, mette in risalto il micro-universo, il piccolo universo che c’è dentro ciascuno di noi, e lui è come se aprisse una finestra verso questo micro-universo, questo piccolo universo.

Ora, in relazione a questo, possiamo osservare che non soltanto l’artista mi insegna l’ascolto. Naturalmente io poi devo fare qualcosa di mio: che cosa farò? Metterò in pratica questo ascolto che l’artista mi ha insegnato e su questo possiamo osservare che l’ascolto è già arte, cioè l’arte comincia non quando l’artista produce la sua opera, ma quando lui già comincia ad ascoltare ciò che ha in mente di fare. Questo significa che, se io imparo l’ascolto dall’artista e comincio da me ad ascoltare il mondo, la vita, le cose, come l’artista ha cominciato ad insegnarmi, già io sto diventando artista, già prima che io dipinga un quadro mio, già prima che io produca qualcosa di mio che gli altri possano vedere: questa è già arte. In realtà, poi, il produrre opera d’arte non è altro che l’ascolto che si fa strada ed è l’ascolto che mi spinge a produrre l’opera d’arte. Non è soltanto inerzia dell’ascolto, mettiamo anche la nostra volontà, la nostra iniziativa, la nostra creatività, ma l’arte più autentica è quella in cui è l’ascolto che si fa strada, da quando comincia fino a quando si crea l’opera d’arte materiale concreta. Ricordo che, comunque, tutto questo non significa fare miracoli, creare salvezze della vita, risolvere i problemi. Lo dicevo, questo, in generale a proposito della spiritualità: la spiritualità non è la salvezza; è un arricchimento dell’esistenza così come tutti gli altri ambiti della cultura. Allo stesso modo, ascoltare e eventualmente riuscire anche a produrre opere d’arte non è la salvezza del mondo, è un modo per rendere la vita più ricca più interessante, più bella, possiamo anche dire.

Ora, all’interno di tutto ciò che abbiamo detto, possiamo quindi osservare che il lavoro della spiritualità viene ad essere come quello che fa l’artista: aiutare l’ascolto, aiutare l’ascolto della vita, delle cose, dei paesaggi, aiutare l’ascolto delle opere d’arte.

Possiamo fare un esempio per renderci conto dell’opportunità di questa educazione all’ascolto. Possiamo pensare che a volte, specialmente vedo i giovani, sentono la necessità di alzare il volume con cui ascoltano la musica al limite delle possibilità del nostro orecchio, al limite del far male al nostro udito. Ora, questo che cosa significa? Dà l’impressione di dover far ascoltare ai sordi quella musica. Cosa significa i sordi? Significa persone che hanno una sensibilità ridotta, persone più dure di orecchio. In questo senso significa compensare la durezza della mia sensibilità rafforzando l’impulso, rafforzando il messaggio. Ma questo significa confermare la durezza della propria sensibilità e non curarla. Ora, l’ascolto, l’educazione all’ascolto, che mi viene dall’artista, mi viene dalla spiritualità, significa risolvere il problema in maniera diversa, cioè dire, piuttosto che alzare a dismisura il volume della musica, tanto vale curare piuttosto la mia sensibilità. La sensibilità viene curata non solo come quantità, come capacità delle orecchie di udire, ma l’udire, l’ascolto, avviene in gran parte anche tramite il cervello, è la mente che deve essere educata a saper ascoltare ciò che arriva attraverso l’orecchio.

Possiamo fare un altro esempio, un altro richiamo. Un’altra cosa che da sempre l’uomo cerca di fare è allungarsi la vita, vivere possibilmente in eterno. Su questo possiamo osservare: a che cosa serve vivere mille anni, se in questi mille anni hai vissuto di superficialità? Si potrebbe fare il paragone con il leggere un libro in lingua straniera che non si capisce: a che cosa serve leggere 1000 libri in una lingua che non capisci? È lo stesso che vivere mille anni senza aver vissuto: tanto vale imparare bene quella lingua e allora ti basta leggere già una sola pagina e hai vissuto più di chi vive mille anni, più di chi legga mille libri senza capire quella lingua. In questo senso possiamo dire che la vita, piuttosto che allungarla in orizzontale, possiamo espanderla in verticale. Cioè dire, la durata magari può rimanere più o meno sempre quella, ma io posso curare la sua profondità, la grandezza di ciò che vivo già nel presente e allora la vita comincia ad essere un vero arricchimento, piuttosto che, come dicevo, vivere mille anni senza aver sperimentato niente. Tutto questo ci rimanda al discorso che stiamo facendo, cioè dire, l’artista, la spiritualità, si può considerare educazione all’ascolto, aiuto a saper ascoltare gli eventi, le vicende che è possibile sperimentare nella nostra vita.

A questo punto osserviamo che si potrebbe fare un’obiezione: ma l’esperto di opere d’arte, oppure la persona che si interessa di letteratura, non è già quindi una persona che fa tutto questo? Sì, si potrebbe dire fa già tutto questo, ma ciò che cambia, nel discorso che stiamo facendo, è la piega che prende il discorso. Cioè dire, io, ad esempio, guardo un quadro, ma non lo guardo più soltanto con l’interesse di chi è interessato alle opere d’arte, ma lo guardo con l’occhio di chi vuole compiere un cammino di spiritualità e vuole vivere una vita interiore. La differenza può essere sottile, ma in realtà cambia il lavoro che viene compiuto. Intanto il lavoro non è più casuale, ma viene programmato: io voglio fare un cammino per portare avanti una mia vita spirituale. Poi si aggiunge un collegamento con l’intera mia esistenza: io guardo quel quadro non per vedere soltanto cosa c’è in quel quadro, ma perché voglio confrontarlo con l’intera mia esistenza, con tutta la mia vita interiore. Ora, in questo senso allora, il lavoro di imparare l’ascolto viene ad essere un venire incontro attivamente al nostro bisogno di vita interiore, al nostro bisogno di arricchire la vita interiore.

Qualche altra annotazione. Questa educazione all’ascolto, come per esempio l’educazione all’ascolto delle opere d’arte, può essere anche un educarsi a saper poi descrivere, comunicare ciò che abbiamo vissuto. Mi riferisco al fatto che tante persone, se devono descrivere una musica che hanno ascoltato, o un quadro di un pittore, l’unica cosa che sanno dire è: bello, interessante, bellissimo. Eh sì, ma in questo modo che comunicazione c’è stata? Ora, ascolto significa anche questo, cioè cercare di imparare, come fa il critico d’arte, come sa fare il critico di letteratura, saper descrivere meglio i dettagli della nostra esperienza, riuscire a comunicare meglio i dettagli della nostra esperienza, in maniera che spiritualità significhi anche comunicare, dire più in dettaglio, più in profondità, non solo agli altri, ma anche a noi stessi che cosa abbiamo esperimentato e quindi di conseguenza che cosa può essere opportuno coltivare.

Infine, quindi, possiamo notare che coltivare spiritualità viene ad essere coltivare un linguaggio, un modo con cui interpretare le cose e un modo con cui esprimere, ciò che abbiamo recepito, ciò che abbiamo sperimentato. Questo è quindi è tutto un linguaggio da esplorare che a livello mondiale, a livello universale, è ancora tutto un lavoro da fare. Per averne idea, questo si può paragonare, per lo meno a quello con cui io a titolo personale mi sono familiarizzato, cioè il commento della Bibbia, il commento che, si potrebbe dire, per professione, per mestiere ho fatto per tanti anni, che è diverso dal fare la predica. Commento alla Bibbia significa entrare meglio nell’esegesi, nell’ermeneutica, nell’analisi letteraria del testo e, nel discorso che stiamo facendo, ad un fine di educazione all’ascolto spirituale, un tipo di ascolto, un tipo di commento alla Bibbia che può valere anche per gli atei e quindi è diverso dalla predica. Ora, nel lavoro che io mi sono abituato a fare, dicevo in occasione della mia cosiddetta professione di prete, di sacerdote, nel commentare la Bibbia con osservazioni che in realtà possono valere anche per un ateo e arricchiscono la vita spirituale, si può approfondire un linguaggio, un modo di commentare, un modo di osservare che poi può essere applicato non solo alla Bibbia, ma a tutte le opere d’arte e agli eventi in generale della vita, alla vita stessa, alle esperienze della vita. Allora viene a formarsi un vero linguaggio della spiritualità, un linguaggio che poi mi propongo di approfondire, attuare, mostrare, esplorare nelle prossime esperienze del cammino del blog, del cammino spirituale, e nei prossimi video.

Auguri a tutti, quindi, di esplorare queste vie, approfondire il linguaggio della spiritualità arricchendo sempre di più la nostra vita interiore. Arrivederci alle prossime puntate.