Indice delle lezioni

 

La forza e la debolezza delle religioni sta nel loro avere persone come riferimento: per esempio la persona di Gesù, oppure Dio stesso come persona. Queste persone, costrette a concentrare su di sé un mare di aspetti diversi, non possono evitare di risultare contraddittorie: sono allo stesso tempo buone e cattive, severe e dolci, potenti e deboli, pazienti e scontrose. Mi viene in mente ad esempio una delle contraddizioni più curiose, quando Gesù al Getsemani, in Marco 14,41-42, dice ai discepoli due cose l’una il contrario dell’altra: “Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo!”. Dormite e riposatevi, alzatevi, andiamo! Gli apostoli avrebbero potuto rispondergli: “Quando poi ti sarai deciso su cosa dobbiamo fare, faccelo sapere”.

D’altra parte, una religione non basata su persone risulterà meno umana, più astratta, fredda, teorica. Credo che però il mondo non possa essere umanizzato inventando persone inesistenti a cui rivolgerci, come Gesù risorto o Dio. A questo punto le persone che rimangono sono l’io e gli altri.

I filosofi hanno detto cose opposte riguardo a ciò: Sartre disse che “l’inferno sono gli altri”, Hobbes che “ogni uomo è un lupo per l’altro uomo”, mentre Levinàs considera l’altro come un luogo d’incontro con cui realizzare il meglio del nostro essere. In questo senso l’altro è da considerare cattivo non perché lo è, ma perché è capace di esserlo. Non conta che io o tu non abbiamo commesso i delitti commessi da Hitler: ciò che conta è che siamo capaci di farlo; non perché siamo cattivi, ma perché il buono è capace di tradire la propria bontà. Questo non significa che non possiamo avere fiducia; piuttosto, sarà bene dedurre che anche la questione della fiducia è una questione cattiva, perché si basa ugualmente sul tentativo di appiccicare etichette in fronte alle persone. Quindi dobbiamo buttare nella spazzatura sia la questione sulla bontà o cattiveria dell’uomo, sia la questione della fiducia. Ciò che dobbiamo tenere a mente invece è che comunque la nostra vita sarà influenzata dall’altro e anche da quell’altro che siamo noi stessi. Siamo su questo pianeta e per un certo numero di anni dovremo camminare in compagnia del nostro io e di altri io più o meno vicini. Poi non ci saremo più, verrà il turno di altri.

Di fronte a questa situazione, che altro di meglio possiamo lasciare ai posteri che l’essere morti, durante tutta la nostra vita, per il cattivo? Il morire per il cattivo è la critica radicale di ogni legge della natura, la rivoluzione più grande che sia mai esistita in questo mondo. Ognuno poi cercherà di capire la propria via personale, il proprio modo specifico di praticare nella vita questo morire per il cattivo, che non è solo la persona, ma anche qualsiasi altra cosa che percepiamo contraria al nostro bene; è la spiritualità universale, in contrapposizione alla spiritualità umana.

Ma dov’è in tutto questo la dolcezza dell’umanità, dov’è l’esperienza bella dell’amore? Che relazione c’è tra le cose belle e la croce di Gesù? Di per sé, se ci pensiamo, anche qualsiasi esperienza di bellezza contiene comunque al suo interno delle ipocrisie di cattiveria: un bel prato è fatto di fiori che stanno lottando accanitamente tra di loro, un rapporto sessuale è un tentativo di far andare avanti il proprio DNA in concorrenza con quello di altri, un bacio ai figli pure, ogni atto di bene per il prossimo è anch’esso inquinato dalla nostra ipocrisia. Dunque, la croce non è soltanto morire per il cattivo che è l’altro, ma anche accettare d’immergersi con tutto il proprio essere nelle ipocrisie dell’amore, perché non sappiamo, non possiamo immaginare quanta e quale novità di vita è possibile creare in questo mondo attraversandone, ognuno a modo nostro, le contraddizioni; esse, dopo ciò che ho descritto, mi danno la sensazione di cominciare a sembrare un po’ meno contraddittorie, proprio perché tutte accomunate dall’essere contraddizioni in un mondo fatto di spiritualità umana e spiritualità universale che si relazionano.

Mi sembra che una cosa del genere possa essere assunta come un programma di vita, una spiritualità su cui valga la pena riflettere, meditare, agire, crescere.

Salve a tutti. Siamo arrivati al post “La croce e la bellezza dell’amore”.

Ora, alla fine di questo articolo, ho fatto riferimento alle contraddizioni. Cioè dire, ciò che può apparire bello, come un prato di fiori, può essere considerato, in realtà, come un campo di lotta e allora la vita si presenta come contraddizioni, contraddizioni che ci disturbano, ci fanno difficoltà. Nell’articolo lasciavo intravedere che però, attraverso un cammino, queste contraddizioni possono risultare meno ostiche, meno difficoltose, meno contrastanti con il nostro essere.

Con questo discorso mi collego al post in cui parlavamo di paradossi.

In questo senso paradossi, contraddizioni, si accomunano nel far parte delle difficoltà che insidiano, che attaccano il nostro camminare. Ora, nel post avevo suggerito, come via per ovviare a queste difficoltà, quella di far riferimento all’esperienza.

Riferirci all’esperienza può avere il vantaggio di usare come un cervello alternativo, cioè dire, oltre ad ascoltare il mio cervello, ascolto anche un’altra fonte che è l’esperienza. Questo modo di procedere può creare in noi un familiarizzarci. Un familiarizzarci che però non sarà mai concluso; tuttavia un familiarizzarci che avanza sempre, progredisce sempre, e ci aiuta in continuazione a muoverci nella foresta insidiosa delle contraddizioni, dei paradossi, delle difficoltà del camminare. Ora, questo appello che ho fatto all’esperienza, in contrasto con il riflettere dell’intelligenza, della mente, potrebbe essere frainteso, perché non è raro incontrare persone che denigrano il lavoro intellettivo, il lavoro di riflessione, dicendo che bisogna ascoltare il cuore, l’intuito, lo spirito. Per esempio, ci sono persone che sostengono che, riguardo alla Bibbia, non bisogna troppo riflettere, troppo ragionare, adoperare troppo il senso critico, perché Dio vuole parlare al cuore. Quindi, di conseguenza, queste persone sono anche abbastanza contrarie alla teologia, alla filosofia. Ora, quando io dico che bisogna riferirsi all’esperienza, in contrapposizione all’intelligenza, non mi pongo su questa linea. Qual è la differenza? La differenza è che queste persone a cui ho fatto riferimento in realtà intendono sottrarsi alla critica, rinnegare la critica non per offrire risposte, per confrontarsi con essa, per misurarsi con le sue difficoltà, ma semplicemente evadere, trasferirsi su un piano incontrollabile. Quando invece io dico di rifarci all’esperienza, non rinnego il lavoro del senso critico, dell’intelligenza, della razionalità, ma piuttosto è un arricchimento, un’aggiunta. Quindi l’ascolto dell’esperienza si pone come un procedere che mantiene il confronto con la critica, non lo esclude per niente. Semplicemente intende fare qualche passo ancora oltre, qualche passo avanti, ma “oltre” non significa negare, evadere, “oltre” significa portare con sé la critica e portarla un po’ più avanti.

Ora, su questo potrebbe nascere incertezza di pensare “Ma come si fa a pensare con quest’altro cervello che è l’esperienza?”. Ora, su questo ci sono i maestri, da sempre, nel mondo, che sono gli artisti. Sono gli artisti i maestri dell’ascolto, i maestri dell’ascolto dell’esperienza. Un artista non pone come uno scopo il riflettere, il ragionare, ma pone come primo scopo il presentare un’esperienza come esperienza sua, esperienza soggettiva. In questo senso loro ci insegnano a oltrepassare il puro riflettere, il puro usare il senso critico. In questo senso, possiamo confrontare questa situazione con quelli che cercano invece i fenomeni strani, le energie, esseri come i marziani, soprannaturali, forze nascoste presenti in noi, energie esoteriche, eccetera. Tutte queste cose, a parte il fatto che non sono altro che metafisica, dimenticano che i veri marziani sono da sempre accanto a noi, sono sotto i nostri occhi, li possiamo raggiungere in qualsiasi momento. Cioè, il modo di vivere alternativo l’abbiamo sempre accanto e sono gli artisti. Sono loro che ci insegnano da sempre come vivere alternativamente, vivendo di ascolto, vivendo di esperienza. In questo senso, ciò che l’artista presenta si rivela valido proprio perché è opinione e, al contrario, ciò che tendiamo a inseguire come metafisica in realtà si rivela invalido proprio perché non è opinione, perché trascura il soggetto e quindi presta il fianco alla critica. Da questo punto di vista possiamo pensare che perfino Gesù, il crocifisso, non fu altro che uno dei tanti artisti che da sempre dicono al mondo la strada dell’alternativa. La chiamo “strada dell’alternativa”, che non significa strada di salvezza dai problemi. Cioè, l’artista non mi rende immune alla sofferenza, immune al dolore. La croce di Gesù non ci rende immuni al dolore delle contraddizioni, dei paradossi di cui ho parlato all’inizio, però ci danno la soddisfazione di poter esplorare vie veramente alternative, veramente diverse, al solito ragionare tradizionale, condizionato dalla grecità che ormai, diciamo, ha impastato di sé tutte le menti occidentali e quindi del mondo intero. D’altra parte poi, in definitiva, l’artista non è altro che la persona di spirito, colui che ci insegna che cos’è la spiritualità.

Arrivederci quindi a tutti con l’augurio di avere come maestri gli artisti, scoprire l’artista che è in ognuno di noi e buon cammino a tutti.