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Una caratteristica della soggettività e del relativismo è un’ermeneutica, uno stile, del tornare indietro, indietreggiare, essere deboli, sconfitti, come Gesù era sulla croce, in opposizione all’oggettività che invece è caratterizzata dal potere, può anche essere considerata sinonimo di potenza, inesorabilità. La nostra morte sarà il completamento finale di questi percorsi di indebolimento. Tuttavia, questa ermeneutica rischia di essere erroneamente interpretata come qualcosa di troppo generale, universale e persino assoluto. È bene rendersi conto che questo problema è legato al nostro passato fatto di metafisica, con la sua tendenza a trattare concetti in modi assoluti, universali, che comunque non possono essere cancellati o ignorati. Invece noi proseguiamo con la positività resa possibile dalla soggettività, in un divenire senza fine, in dialogo con la metafisica, cercando di creare all’infinito nuovi stili di vita che possano essere umanamente percepiti come un arretramento contro le metafisiche orientate al potere. La debolezza, la croce, ecc., non possono e non devono essere autodistruzione. Come conseguenza di queste idee, quello che cercheremo non è una qualche debolezza statica, ma piuttosto percorsi di elaborazioni, ricerche su stili di arretramento, contro l’oggettivazione delle soggettività che tende a trasformarsi, a convertirsi, a degenerare in strumento di potere. Questi percorsi hanno anche un certo grado di oggettività: non hanno bisogno di essere necessariamente compresi da altre persone, perché sono, esistono e producono i loro effetti come fatti. Ogni soggettività fa tutto questo già per natura, noi aggiungiamo solo, quando possibile, la nostra consapevolezza, il coinvolgimento, la creatività. Il lavoro di elaborazione dell’indietreggiare non è altro che camminare, o possiamo dire arte. In questo senso ciò aiuta per la consapevolezza nel vivere i cammini come elaborazioni di arretramenti che mediano tra soggettività e oggettività. Quindi, alla fine, la spiritualità è coltivazione, cura, o anche contemplazione, della consapevolezza nella pratica dei cammini. In altre parole, è un’ermeneutica vivente di arretramenti nella mediazione tra oggettività e soggettività.

Un caso particolare di soggettività contro oggettività, suscettibile di critica, sono il vittimismo e la severità espressi da Gesù, perché possono rivelarsi, alla fine, come un’autorizzazione all’odio. L’alternativa non è una sorta di stoicismo, come un fingere di non essere mai coinvolti emotivamente. Piuttosto, l’alternativa è un lavoro permanente di progresso e di approfondimento, di confronto, di coltivazione di dialoghi e di tentativi di sintesi sempre nuove. Una buona sintesi può essere proprio questa: elaborare e vivere l’ermeneutica degli arretramenti nella mediazione tra oggettività e soggettività. Possiamo anche dire nuova arte, arte di vivere, arte della spiritualità.

In questo contesto, che mette in evidenza l’importanza di un modo dinamico di procedere, si può per inciso notare che il dilemma tra uccidere ed essere uccisi riceve un’efficace chiarimento: esso soffre normalmente il problema di essere inserito in una mentalità statica, che cerca una risposta statica, conclusiva.

Una via di mediazione soggettiva è adottare linguaggi narrativi, dall’osservazione di ciò che succede quando sogniamo: nei sogni non c’è astrazione, ci sono solo narrazioni particolari, elementi concreti. L’astrazione invece potrebbe essere trattata come un ponte tra i vari livelli del nostro sognare la nostra esistenza. Da qui consegue che un criterio umano è quello di adottare linguaggi artistici, ma facendo attenzione a non abbandonare mai totalmente la metafisica e la critica.