Indice delle lezioni

 

Spiritualità critica non è immanentismo, ma antimetafisica

Possiamo osservare che qualunque parola abbiamo cercato di individuare nel crucipuzzle si trova comunque in esso, non fuori di esso. Cioè, se io penso di vedere nel crucipuzzle la parola CASA, un altro potrebbe dirmi che la vedo io perché sono italiano, perché ho sempre in mente quella parola e quindi la vedo dovunque, ma in ogni caso è fuori discussione che quella parola non si trova in un altro mondo fuori del crucipuzzle. Tutt’al più è nel mio cervello, oppure dentro il crucipuzzle, ma comunque non in un altro mondo distinto da questi due. Questo si può chiamare, in una sola parola, immanentismo; immanentismo deriva da in-manente, cioè in-rimanente, “rimanente dentro”. Questo modo di pensare si distingue dalla concezione di quanti invece, per esempio, ritengono che Dio abiti in un suo mondo, che chiamiamo “al di là” o, con altre parole, un mondo distinto sia dal nostro cervello che dal nostro mondo materiale. Il cristianesimo si può considerare in questi termini: anche se si sa che il mondo di Dio non è un altro pianeta, non è un altro universo con dimensioni paragonabili al nostro, rimane però il fatto che per i cristiani la presenza di Dio non è contenuta totalmente ed esclusivamente nel nostro mondo; anche se il mondo di Dio è un mondo speciale, in ogni caso è un altro mondo, diverso dal nostro mondo materiale. Dunque, un cristiano potrebbe accusare la mia visione della spiritualità, basata sul crucipuzzle, di immanentismo, cioè di affermare che l’unico mondo che esiste è il nostro e quindi tutto ciò che vogliamo vedere, immaginare o sognare, vada ricavato esclusivamente da questo nostro mondo materiale. In questo senso lo si potrebbe anche chiamare materialismo.

Bisogna precisare però che io, considerandomi un non-metafisico, non solo non affermo l’esistenza di alcunché, ma neanche la nego. Quindi a me non fa problema se un altro vuol dirmi che esistono altri mondi, o che per lo meno egli ha intenzione di crederci; l’importante è che lasci me libero di non crederci. Per me rimane comunque, nei suoi confronti, l’obiezione di metafisicità: quando un altro mi dice di voler credere in un altro mondo o in altri esseri, per me significa voler pensare a queste cose come a oggetti.

Il fatto che io non stabilisca l’esistenza né la non esistenza di nulla mi permette di considerare la mia visione della spiritualità come compatibile sia con qualsiasi religione, sia con l’ateismo. Tutt’al più possono essere gli altri a dirmi che non l’accettano, perché magari vorrebbero che io affermassi oppure negassi decisamente l’esistenza di qualcosa. Ma io rivendico la mia libertà di non affermare né negare l’esistenza di alcunché, perché in entrambi i casi significherebbe voler continuare a pensare in termini metafisici, cioè di oggetti che esistono oppure non esistono, anche se si tratta di oggetti o persone di tipo invisibile; questo equivarrebbe a voler sostenere qualche mia verità intesa come indipendente da me, quindi come una mia regola a cui tutti gli altri dovrebbero ritenersi in obbligo di adeguarsi e conformarsi.

Salve a tutti, siamo arrivati al video per il post numero cinque, un post intitolato “Immanentismo, materialismo, antimetafisica”. Possono sembrare paroloni grossi, ma sono qui proprio per tentare di rendere la spiritualità qualcosa di accessibile a tutti e non riservata a pochi, qualcosa di esoterico, per persone intellettuali, almeno per quanto mi riesce di farlo. In questo post ho concluso con un riferimento, ancora una volta, alla questione della verità. Ho già detto diverse cose su altri video riguardo alla verità e in questo caso voglio aggiungere altre annotazioni che ritengo utili per un cammino che sia ottimale per quanto riguarda la spiritualità. L’idea su cui mi baso in questo caso è l’idea che la verità addirittura è violenza. In realtà ho già detto alcune cose su questo, nel video, per esempio, “Critica del concetto di realtà” e poi anche nel video per il post numero due “Strutture della spiritualità, parte prima”. In che senso la verità può essere violenza? Per risultati che dà in maniera magari indiretta, perché chi è convinto di una verità tenterà di imporla anche ad altri. Sono idee più o meno prese anche dalla posizione di Gianni Vattimo, ma qui vorrei evidenziare che addirittura la verità intesa come ascolto può risolversi in violenza, può essere violenza, nonostante io stesso l’abbia presentata come una soluzione al problema di come trattare i pazzi, mandarli al manicomio, eccetera. Lì dicevo: si tratta di continuare ad ascoltarli anche dopo che, per necessità, magari, siamo stati costretti a renderli, metterli in condizione di non nuocere. In realtà lì non evidenziavo un aspetto dell’ascolto che è questo, cioè, l’ascolto, in realtà, viene a significare violenza, anche se è una cosa positiva. Perché, in che senso? Ascoltare la realtà significa conformare il mio cervello, la mia mente, i miei pensieri, a ciò che mi arriva e quindi significa che non posso mettermi a pensare quello che mi pare e piace. Questa è la costrizione dell’ascolto, la violenza dell’ascolto. Cioè, ascoltare significa fare violenza alla mia libertà di pensare quello che mi pare e piace e trovarmi costretto a pensare ciò che la realtà mi dice che devo pensare. Un esempio molto semplice: se mi trovo a scendere delle scale, la realtà mi costringe a pensare che devo fare attenzione, altrimenti metterò in pericolo sia me stesso sia altri. Ma poi l’idea di ascolto come problema, come sottrazione di libertà, quindi come violenza, può essere compreso: basti pensare alla scuola o al lavoro: a scuola è un gran peso dover stare ad ascoltare il maestro, il professore che spiega per tante ore. E così al lavoro: è un peso dover stare ad ascoltare le esigenze del lavoro che mi trovo a fare. Per questo poi ci si ritrova a dover, voler, tornare a casa, desiderare di tornare a casa, per prendersi finalmente un po’ di ristoro. Ora, in realtà, questa situazione di dover ascoltare non è solo a scuola o al lavoro, ma è tutte le volte che, per esempio, apriamo gli occhi, perché la realtà ci costringe a dover ascoltare ciò che i nostri occhi ci dicono, la realtà che ci si presenta. In questo senso, ciò che rispetto alla scuola viene ad essere il riposo, il tornare a casa, rispetto alla vita più generale possiamo pensare viene ad essere quando la notte poi andiamo a dormire e finalmente possiamo sognare e lì finalmente il nostro essere recupera la sua libertà di pensare finalmente quello che gli pare e piace, non più vincolato, non più costretto da ciò che i sensi mi trasmettono. In questo senso, quindi, purtroppo, la realtà ci priva in continuazione della possibilità di pensare ciò che ci pare e piace, ciò che desideriamo. Nel sogno recuperiamo questa libertà, questa facoltà che abbiamo. Oltre al sogno possiamo aggiungere nell’arte: anche l’arte ci dà la possibilità finalmente di non considerare per forza le cose così come sono, ma piuttosto come ci viene di vederle e come l’artista, riuscendo a suscitare le mie sensazioni intime, riesce a guidarmi proprio su questo, come a noi viene da considerare, da percepire la realtà. Ora, dicevo, violenza, problema della violenza nell’ascolto, ma in realtà, una volta che abbiamo compreso il concetto, anche il ristoro viene ad essere violenza. Cioè, se ristoro significa finalmente sognare, ma se io sogno quando sono ad occhi aperti posso creare problemi. Facevo l’esempio se mi trovo a scendere le scale, non posso mettermi a sognare che posso volare: devo stare attento a quelle scale che sto scendendo. E allora ci troviamo, ci veniamo a trovare in una situazione di non poterci sottrarre a una situazione di violenza. Se io ascolto, la realtà fa violenza alla mia libertà di pensare quello che mi pare e piace, se non ascolto e mi metto a sognare, si crea pure una situazione di violenza, perché posso mettere in pericolo anche la mia vita o quella degli altri. Questa situazione di violenza è il problema che si viene a creare nella contrapposizione tra il metafisico, colui che crede nell’esistenza di una verità, e lo scettico, che invece vuole darsi la libertà di dubitare, di pensare quello che gli pare, eccetera. Possiamo anche osservare una notazione su Gesù. Lui, si potrebbe pensare, fu condannato proprio per questo, perché faceva temere un eccesso di libertà, perdonando i peccatori con eccessiva, con troppa facilità. Eppure lui, a un certo punto, dice “Io sono la verità”, “la via, la verità e la vita”. Però, attenzione, è una questione anche di interpretazione, perché proprio quelle parole possono significare l’opposto di quello che siamo portati a pensare. Cioè, dire “Io sono la via, la verità e la vita”, se la parola “verità” viene associata a via e vita, via e vita significa non fermarsi, camminare, non c’è un punto di arrivo definitivo e quindi dire “Io sono la verità”, nel senso di via e vita, può significare “Io sono una verità che bisogna cercare e costruire in continuazione”, così come si percorre in continuazione la via e la vita. Quindi, attenzione a come si può interpretare la vicenda di Gesù e anche le sue parole. Tornando al problema della violenza, dicevo, possiamo accusarci a vicenda. Il metafisico dice a me “tu crei una situazione di anarchia, di disordine, in cui ognuno può fare quello che gli pare e piace e questo predispone la violenza”, mentre io dico al metafisico “tu tendi a imporre la tua verità e quindi tendi a creare violenza”. Come uscire da questa situazione in cui veniamo non poterci sottrarre alla violenza? Credo che una via utile, che merita di essere percorsa, sia quella di ammettere. Cioè, una differenza, credo, tra me che mi metto dalla parte dello scettico, chi pensa con il pensiero debole, con il dubbio, credo che una differenza consista nel fatto che io ammetto che il problema c’è. Ammettendo che c’è significa che bisogna lavorarci su. Per esempio, sì, è vero che chi dubita può trovarsi meno portato alla violenza, perché, nel momento in cui farà violenza, si chiederà “ma è giusto quello che sto facendo?”, ma anche chi dubita potrebbe dire “Va be’, c’è un’urgenza e devo fare una scelta, devo scegliere, prendere una decisione immediata e quindi, se anche se anche sarà violenta, poi si vedrà”. Quindi il problema c’è effettivamente, solo che io lo ammetto, cioè dico: “bisogna lavorarci” e quindi…, ma lavorarci su tutto, quindi anche sulla concezione stessa, sul dubitare stesso, sul criticare, eccetera, mentre, chi invece dice “c’è una verità” sta individuando un campo su cui non deve esserci più da lavorare: quella verità c’è, è stabilita, è definitiva e quindi non c’è più da chiedersi altro sull’esistenza della verità. Questa via dell’ammettere, predisponendo quindi un lavoro che non avrà mai fine, viene ad essere simile a quella che proponevo nel video numero 2, “Strutture della spiritualità”, in cui dicevo: piuttosto che lavorare di armonia tra il mio cervello e la realtà, devo lavorare di armonia all’interno di me, di armonia interiore, con un lavoro che non finirà mai. Dicevo che questo lavoro che non finirà mai, piuttosto che essere un peso sulle spalle, può venire a risultare piuttosto come un sollievo, un rasserenamento, un ristoro. Ora, anche in questo caso si può considerare in questa maniera, cioè: a quanto pare, stabilire una verità su cui smettere di interrogarsi può significare creare più problemi di quanti se ne risolvono, perché proprio quello smettere di interrogarsi crea problemi di violenza, di mancanza di chiarezza, mancanza di approfondimento. In questo senso si potrebbe pensare che il ricorso all’idea di verità poi alla fin fine non è altro che uno sforzo di economia del cervello: siccome non posso interrogarmi su tutto, per sempre e in tutti i momenti, allora mi stabilisco delle verità e mi dedico ad altro, ma, a quanto pare, proprio questo stabilire delle verità definite, per dedicarsi ad altro, a quanto pare crea più problemi di quanti non ne risolva e viceversa: mi sembra che un buon metodo in cui ci si interroga su tutto, ma fatto, quindi, dicevo, con metodo, con cammino, con lavoro organizzato, in realtà, piuttosto che essere peso sulle spalle, viene a diventare sollievo, rasserenamento, piacere di vivere, piacere di condividere con gli altri e, a quanto mi sembra, piacere di costruire insieme un mondo migliore, migliore per tutti, per il maggior numero di esseri che sia possibile. Vi rimando al prossimo video, alla prossima riflessione e arrivederci a tutti e auguri di una vita sempre più interessante, sempre più bella da vivere. Arrivederci.